IL
CONCILIO DI ELVIRA DEL 305 Alfredo Saccardo II concilio spagnolo di Elvira, città dell’Andalusia
nei pressi di Granada, ha una straordinaria importanza. È uno dei primi
concili della Chiesa. Contiene canoni disciplinari e si svolge quando non c’è
ancora libertà di professare pubblicamente la fede. Ha un numero così elevato di canoni (81) da
superare qualsiasi altro concilio del IV secolo, compreso quello ecumenico di
Nicea del 325. Non è un concilio che vuole risolvere problemi
dogmatici, ma solo disciplinari. Questo concilio ci permette di conoscere l’estensione
del cristianesimo in Spagna e la severità di una disciplina che susciterà
vivaci polemiche. Certamente all’inizio del IV secolo il
cristianesimo è già fiorente in Spagna, tanto che tutte le sei province hanno
le loro chiese, anche se non tutte sono presenti ad Elvira. È assente la chiesa della Mauritania Tingitana. Sono presenti 19 vescovi: il più famoso è Osio di
Cordova perché, consigliere dell’imperatore Costantino, parteciperà al
concilio ecumenico di Nicea e a quello di Sardica. Osio rappresenta insomma
un valido collegamento fra la chiesa d’occidente e quella d’oriente. Il concilio di Elvira è così importante che alcuni
suoi canoni saranno riportati e ripresi nei concili di Arles del 314, di
Nicea del 315, di Sardica del 343. I canoni disciplinari del concilio di Elvira,
espressi con semplicità e chiarezza, sono severissimi. Certi peccati, elencati in alcuni canoni (1, 2, 8,
10, 12, 17, 19, 71, 75), escludono perfino la comunione finale (nec in fine dandam esse communionem). Non ci soffermiamo sul significato di simili
terribili condanne: all’inizio del IV secolo è in atto una tremenda
persecuzione nell’impero romano per cui molti cristiani vacillano, altri
abiurano... si affermano le prime eresie che minano l’autentica dottrina di
Cristo: forse per questo i vescovi presenti ad Elvira sono così severi. Anche il can. 33 propugna una pena severa per chi
trasgredisce ciò che il canone proibisce: “Placuit in totum prohiberi episcopis, presbyteris
et diaconibus, vel omnibus clericis positis in ministerio, abstinere se a
coniugibus suis, et non generare fìlios: quicumque vero fecerit ab honore
clericatus exterminetur” (Mansi
II, 11). “Noi decidiamo di
proibire ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi e a tutti coloro che sono
impegnati nel ministero, di astenersi del tutto dalle proprie mogli e di non
generare figli: chiunque lo farà, sarà eliminato dal clero”. Il senso ed il contenuto del canone sono precisi e
chiari: SI PROIBISCE LA TOTALE ASTENSIONE DALLE SPOSE E DI NON GENERARE
FIGLI! Ma dopo parecchi secoli, storici e teologi
tradurranno il canone capovolgendone il senso, affermando che ad Elvira si è
ORDINATA l’astensione dalle mogli proibendo i rapporti coniugali ai chierici. Con questa arbitraria affermazione si è calpestato
il significato letterale del canone che presenta una straordinaria difesa dei
diritti naturali dei vescovi, dei preti, dei diaconi, diritti che si
trasformeranno, nei secoli, in doveri di astensione per motivi più o meno inconsci
di purità rituale e sacrale, assenti del tutto nell’insegnamento di Cristo e
degli Apostoli e di inequivocabile provenienza giudaico-pagana. 1.
Tutti
i concili della prima metà del IV secolo (compreso quello ecumenico di Nicea)
non accennano ad obblighi di continenza sacrale e rituale per il clero. Anzi!
Sia a Nicea con Pafnuzio, sia a Gangra si afferma il rispetto per il clero
coniugato e convivente con le spose. A Nicea nel 325 e a Sardica nel 343 è
presente il vescovo spagnolo Osio, uno dei protagonisti del concilio di
Elvira. 2.
Data
la presenza nella chiesa, fin dai primi secoli, di eresie manichee, gnostiche
e altre minori, tutte contrarie in qualche modo all’attività sessuale anche
nel matrimonio, è più che logico che un concilio importante come quello di
Elvira si pronunci con forza e durezza contro quelle idee che stavano
infiltrandosi anche nella chiesa spagnola e che incriminavano il sacrosanto
diritto naturale dell’attività matrimoniale dei fedeli e soprattutto dei
ministri della chiesa. 3.
Imerio,
vescovo spagnolo di Tetragona, nella seconda metà del IV secolo, chiede lumi
a Roma riguardo a varie questioni disciplinari della chiesa spagnola, fra le
quali la continenza e la vita coniugale del clero. Ciò dimostra che i
ministri della chiesa vivevano regolarmente con le mogli. Ma proprio in
quegli anni si diffondevano in Spagna le idee priscilliane di stampo manicheo
e nemiche dichiarate dell’attività sessuale matrimoniale del clero. 4.
Ciò
spiega l’interrogazione pressante fatta in proposito al papa, domanda che
sarebbe stata superflua se il concilio di Elvira avesse perentoriamente
stabilito la continenza del clero alcuni decenni prima. 5.La risposta di papa Siricio ad Imerio nel 385
(Mansi III, 655-662), contraria all’attività sessuale (ma non al matrimonio)
del clero, è forse suggerita da S. Girolamo, consigliere del papa e assertore
della continenza assoluta dei ministri ecclesiastici. Il responso pontifìcio
non accenna minimamente al can. 33 di Elvira, che poteva avallare le tesi
puriste di Siricio, se avesse proibito i rapporti del clero spagnolo con le
mogli. 6.I Padri della chiesa, propugnatori della continenza
sacrale dei ministri, non citano assolutamente il can. 33 di Elvira che, per
la sua antichità e severità, avrebbe potuto rappresentare un argomento solido
a favore della continenza del clero, se avesse espresso ordini di stampo
purista. 7.Nei secoli XI e XII, in cui si lotta per riformare
il clero corrotto e concubino, si citano parecchi concili di epoche
precedenti per sostenere la necessità della continenza del clero, ma quello
di Elvira mai. Per la sua forza e per essere stato il primo concilio
occidentale con canoni disciplinari, sarebbe stato citato ben volentieri se
avesse ordinato la continenza del clero. 8.La celebre ”Storia dei concili” di
Hefele-Leclercq, che commenta il can. 33 di Elvira in chiave purista,
aggiunge che la stesura del canone è “difettosa”, quindi non attendibile.
Questo probabilmente perché il canone non dice quello che si vorrebbe
dicesse. 9.Se il can. 33 del concilio di Elvira avesse voluto
stabilire l’obbligo dell’astensione dei ministri sacri dalle loro mogli,
sarebbe stato redatto come il can. 61 dello stesso concilio che dice: “...placuit abstinere a...”. Il
can. 33 invece dice: “...placuit prohiberi abstinere se a...“ Insomma
nel can. 61 si ordina di astenersi da..., mentre nel can. 33 si proibisce di
astenersi da... 10.
Secondo
i puristi, il can. 33 proibirebbe i rapporti con le spose anche ai chierici
di grado inferiore (omnibus clericis positis
in ministerio).
Ma la continenza ai suddiaconi
viene imposta per la prima volta da papa Leone Magno nel V secolo, per cui è
assurdo che ad Elvira, 150 anni prima, fossero obbligati alla continenza i
semplici chierici, inferiori ai suddiaconi. 11.
La
storica medioevale G. Rossetti, in uno studio sul matrimonio del clero nell’Alto
Medioevo (Il
Matrimonio nella società A. Medioevale, XXIV1 Spoleto, 1977) è
del parere che il can. 33 di Elvira dica quello che letteralmente afferma: la
difesa dei diritti coniugali del clero. 12.
Lo
storico di Lovanio M. Meigne, sostenendo la tesi che probabilmente il can. 33
di Elvira farebbe parte di una collezione di canoni del IV secolo (per la
somiglianza con canoni del concilio di Gangra e con alcuni canoni degli
Apostoli della II metà del IV secolo), non fa altro che affermare, con
dovizia di argomenti storici comparati, l’interpretazione letterale del can.
33 di Elvira. 13.
Ecco
le testuali parole del Meigne: “Il senso del canone che si ricava dal contesto
storico, è esattamente contrario a quello purista abitualmente attribuitogli.
Gli autori del can. 33 non si proponevano di consigliare, incoraggiare,
ordinare l’astinenza coniugale ai chierici, ma prendevano la difesa del
diritto coniugale e del diritto naturale (rifiutato dagli eretici) di
generare figli, contro la novità di un falso ascetismo“ (M. Meigne in Révue d’Histoire Ecclesiastique 70,
Lovain, 1975, p. 361-387). 14.
Pio
XI nell’enciclica “Ad catholici sacerdotii” del 1935 e l’Enciclopedia Cattolica vol. 5 pag.
267, sembrano copiarsi a vicenda: “La prima traccia scritta della legge del celibato
si riscontra nel can. 33 del concilio di Elvira...” (anche
Paolo VI nella “Sacerdotalis
coelibatus” dice le stesse cose). Ma
ad Elvira si afferma tutto il contrario: né continenza, né celibato, il quale
verrà imposto come legge nella chiesa latina solo con il concilio Lateranense
del 1139. 15.
Sono
così numerosi gli storici, i teologi, i giuristi, i testi enciclopedici
italiani ed europei che considerano ancora oggi il can. 33 come inizio della
legge del celibato ecclesiastico, da rimanere allibiti. 16.
Oltre
a Pio XI e Paolo VI, anche il Denzinger con il celebre “Enchiridion symbolorum definitionum et
declarationum de rebus fidei et morum” è
convinto che “proibire
di astenersi dalle spose... “ significa
“ordinare di astenersi
dalle spose...“, con
buona pace della lingua latina e dei vescovi spagnoli del IV secolo, che non
meritavano certo di venire banalmente fraintesi su un argomento così
importante. |
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